There's a room where the light won't find you

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    sergente talosschedapc ▪ post: 1 •
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    veva fatto le cose per bene quell'anno o meglio, detta in parole povere, se l'era spassata. Col periodo delle feste invernali, infatti, l'unica vera incombenza come Sergente della Divisione Operativa era diventata quella di controllare dozzine di rapporti dei Capirecluta e così, di punto in bianco, la bionda aveva deciso che poteva benissimo occuparsene in una calda ed accogliente baita a noleggio a Capricorn Town, piuttosto che nella grigia Scorpion. Non sapeva neanche quanto senso avesse cambiare semplicemente città quando, in ogni caso, anche il suo appartamento nella città dello scorpione diventava piuttosto vuoto quando privato della sua augusta presenza... probabilmente voleva solo prendersi una sorta di vacanza, proprio come facevano le persone normali. Si sarebbe portata comunque appresso delle simpatiche scartoffie, ma a meno che non la chiamassero per una qualche missione improvvisa, quel paio di settimane sarebbe stato di vacanze a tutti gli effetti.
    Alla fine, l'anno nuovo era giunto e il tempo si era persino portato via la prima settimana di gennaio quando una breve e concisa comunicazione arrivò dai piani alti, una roba sulla falsa riga di "muovi il culo e allena la tua squadra". Non lo nascondo, nel leggere quell'ordine l'arlecchina aveva sonoramente sbuffato: sapeva perfettamente da svariati mesi di doversi preparare a fronteggiare le squadre di Alice e Louis Lovecraft e che, in generale, con le tensioni che c'erano fra l'Organizzazione e le forze di Polizia era bene tenersi pronti, ma non poteva proprio fare a meno di provare noia all'idea di dover allenare anche la sua squadra, non poteva proprio farne a meno.
    Comunque, era una fortuna che Talos avesse una base munita di tutto il necessario in praticamente ogni parte della regione, senza eccezioni. La base di Capricorn, che era situata poco fuori dalla cittadina montana, al principio del percorso che portava a Sagittarius, era ben attrezzata esattamente come le altre, in special modo con una grande palestra munita di ogni tipo di strumento, attrezzo ginnico e arma da mischia mai inventata.
    Nella sua megalomania, naturalmente, approfittando anche del fatto di non avere suoi pari o superiori nei dintorni, aveva prenotato la suddetta palestra solo per lei, quella mattina: non sarebbe stata da sola, per ovvi motivi, ma aveva deciso di accaparrarsi la compagnia di una persona molto speciale per quella sessione di allenamento.

    La palestra era immersa in una penombra innaturale, come se i vetri delle finestre non riuscissero a lasciar filtrare la luce correttamente. Entrando, si aveva l'impressione come di vedere attraverso una lente oscurata, che conferiva all'ambiente un tono che dire cupo era dir poco e a nulla sarebbe servito provare ad accendere le luci.
    Asami avrebbe potuto notare immediatamente la figura della sua collega. Non era proprio al centro della grande stanza, ma data la sua attuale posizione si poteva dire che, idealmente, lo fosse eccome: occhi appena socchiusi, capelli corti e biondi che impedivano di inquadrare totalmente l'espressione assolutamente distesa e rilassata del suo visto, la donna mantenne per lunghissimi e numerosi istanti quella posizione sul trapezio sospeso a più di due metri dal pavimento, in assoluto silenzio. Era sobrio il suo abbigliamento, si poteva dire, e anche striminzito, volendo: si trattava semplicemente di un reggiseno sportivo e un paio di shorts neri con lo stemma bianco stilizzato di Talos e, in più, un paio di stivali da trapezista, niente più che un paio di lembi di ecopelle marrone tutt'altro che nuova che le lambivano il polpaccio, tenuti insieme da lacci di cuoio - era abbastanza evidente che se li fosse fatti da sola, probabilmente partendo da qualche paio di stivali vecchi e sfasciati o qualcosa di simile - che lasciavano totalmente scoperte le punte dei suoi piedi e i suoi talloni.
    «Ava smettila, per l'amor del cielo.» pronunciò, la voce un po' seccata e leggermente lamentosa che riecheggiava appena nella sala quasi vuota. A quelle parole, la coltre cupa ed occlusiva nella palestra si dissipò, lasciando che la luce fredda del sole invernale penetrasse finalmente dalle finestre come si conveniva.
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    uando Harley le propose di allenarsi insieme nella palestra di Talos, Asami non aveva esitato nemmeno un istante ad accettare. Dopo aver passato settimane di stress e di pensieri a dir poco scomodi, ancora influenzati dall’incontro che aveva avuto con Shalìa e Roderick, la Sato aveva decisamente bisogno di sfogarsi un po’ e di liberare la tensione con l'esercizio fisico.
    Era da un po’ di mesi, ormai, che non allenava il suo corpo, e le contratture alla schiena e alle spalle iniziavano a diventare fin troppo fastidiose. Passava la maggior parte del tempo sulle scartoffie, a leggere i rapporti vari delle reclute e delle caporeclute, che la informavano degli esiti vari delle missioni. Asami doveva ammettere di essersi decisamente annoiata in quel periodo, soprattutto perché sembrava come se la situazione dentro Talos si fosse assestata – nessuna nuova minaccia, e l’ultima missione davvero importante che aveva compiuto era stata quella del rapimento di Shalìa.
    Ma Asami cercò di non pensarci. Poteva essere un fattore positivo, quello, soprattutto perché si sentiva decisamente al sicuro e rilassata.
    Ci voleva una distrazione, però, e Harley poteva essere la soluzione giusta per rompere la routine. Quando giunse alla base Talos nei pressi di Capricorn, Asami venne accolta da numerose reclute che, obbedienti, la accompagnarono alla palestra che Harley aveva prenotato per loro due. L’iniziativa dell’amica fu molto apprezzata da Asami, soprattutto perché in quel modo avevano occasione di parlare in privato, senza rischiare di essere origliate.
    Harley doveva essere già arrivata da un pezzo, quando la Sato entrò nello spogliatoio, perché riconobbe subito il suo borsone poggiato sulla panca. Dunque si affrettò a cambiarsi, indossando dei leggins aderenti, neri e con fasce rosse, e una canotta bianca con la scritta Daddy Issues, sempre di colore rosso – che indossava raramente, per ovvi motivi, ma con Harley poteva essere se stessa.
    Infine legò i capelli in una coda di cavallo, indossò le scarpe da ginnastica e circondò le nocche delle mani con delle fasce protettive. Ma non voleva essere l’unica ad allenarsi quel giorno, dunque prese una Pokéball e fece materializzare al suo fianco Fuyu, la sua adorabile Buneary. Era da un po’ di tempo che non passavano un pomeriggio insieme, dopo averla lasciata alla Pensione, e voleva allenarla in modo da potersi difendere da sola dai Pokémon maschi arroganti.
    Quando entrambe varcarono l’ingresso della palestra, rimasero perplesse di fronte a quell’aura oscura che le circondava. Asami a fatica riusciva a scorgere Harley, almeno fino a quando quest’ultima non ordinò al suo Pokémon spettro di piantarla con quei giochi inquietanti.
    La Sato sorrise, nel vedere Harley allenarsi. “Mi ricordavo che fossi flessibile, ma non così tanto” La sua voce riecheggiò nel silenzio della palestra. Si avvicinò a lei, seguita da una Fuyu saltellante, fino a mettersi proprio sotto Harley, in modo da guardarla in viso dal basso. Aveva un sorriso divertito e strafottente.
    “Allora, scendi a salutarmi come si deve?” Le chiese, con un tono di voce basso, non troppo distante dal suo viso. Le piaceva ancora giocare con Harley, ovviamente.
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